Una preghiera per la Dea Madre nel “Disco di Festo”?

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Il 3 luglio  del 1908 una spedizione archeologica italiana che si trovava nella città di  Festo (isola di  Creta) scoprì in un palazzo minoico un disco  di  terracotta di 16 centimetri  di  diametro  e 16 millimetri di  spessore: il “Disco  di Festo”.

L’autenticità del reperto (databile intorno  al 1700 a.C.), sia pur messa in dubbio  da alcuni  studiosi, si  basa sulla documentazione degli  scavi  fornita da i due archeologi italiani a capo della spedizione del 1908 (Luigi Pernier e Federico Halbherr),  e dalla comparazione con un altro  reperto, l’ Ascia di Arkalochori, che presenta dei  glifi  simili  a quelli impressi sul “Disco  di  Festo”.

In effetti sono  proprio  questi 241  “glifi”, incisi  sui  due lati  del disco  (visibili in alto  nella foto),  a far porre delle domande agli  studiosi  sul loro  significato: è un sillabario? Un alfabeto, oppure una logografia?.

La risposta a questo  quesito potrebbe essere quella del professore di linguistica Gareth Owens (in collaborazione con John Coleman, professore di  fonetica ad Oxford) che, dopo  sei  anni di  studio, ne ha “decifrato” la lettura, comparandola con la “lineare B” e “lineare A” micenea, con un percorso  che va dal bordo  esterno della spirale verso l’interno.

Il professor Owens ha identificato in questo modo  tre parole chiave:

  • IQEKURJA (“donna incinta”/”dea”)
  • IQE (“madre”/”dea”)
  • IQEPAJE oppure IQE – Phae (“splendente madre”/”dea”).

A questo punto  è facile pensare che la scrittura rappresentata sul  disco  sia una preghiera rivolta ad una dea minoica: la Dea Madre.

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