Il maremoto verificatosi nell’Oceano Indiano il 26 dicembre 2004, che causò la perdita di centinaia di migliaia di vite umane, generò onde alte quattordici metri, quanto, se non più, una palazzina di tre piani.
Possiamo solo immaginare come possa essere devastante un’onda di uno tsunami alta duecentocinquanta metri.
Non è il soggetto di un film catastrofico, ma ciò che è realmente accaduto, secondo alcuni scienziati, 73 mila anni fa quando il versante orientale del vulcano dell’isola di Fogo (Capo Verde) collassò in mare.
La colossale onda che si formò, si spinse fino all’isola di Santiago distante trenta miglia: qui, una volta infranta contro il bordo roccioso dell’isola, scaraventò al suo interno enormi massi come quello visibile nella foto in basso.
Gli scienziati, analizzando queste rocce, hanno stabilito che hanno tutte la stessa medesima età geologica e che, quindi, siano state spinte all’interno dell’isola ( fino a più di mezzo chilometro) da un unico evento che avrebbe avuto la potenza necessaria per spostarle come, appunto, lo tsunami causato dal crollo dell’isola di Fogo.
Eventi di questo genere sono fortunatamente rarissimi, ma non impossibili: lo stesso vulcano del’isola di Fogo è tutt’ora attivo (l’ultima eruzione risale al 1995).
In Italia, sotto la superficie del Tirreno meridionale, a 140 chilometri dal nord della Sicilia ed a 150 chilometri ad ovest della Calabria, vi è il più esteso vulcano attivo d’Europa: il Marsili.
È considerato potenzialmente pericoloso per la possibilità di generare catastrofici maremoti e conseguenti tsunami.
Forse sarebbe il caso di rivedere il progetto del ponte sullo Stretto.
Anzi, sarebbe il caso di non costruirlo mai.