Sembra che nel 2006, quando Plutone venne declassato a “pianeta nano”, il fatto non andò giù a molti generando molte proteste affinché fosse ristabilito il suo status di pianeta.
Il declassamento avvenne in seguito ad osservazioni astronomiche risalenti anni addietro e cioè nel 1992: David Jewitt e J. Lulu, astronomi dell’Università delle Hawaii, scoprirono un corpo celeste subito ribattezzato 1992 QB1.
La caratteristica principale di 1992 QB1 era di essere completamente ghiacciato e con le dimensioni di un asteroide, la cui orbita intorno al Sole era pari ad una volta e mezzo quella di Nettuno.
In seguito, oltre a 1992 QB1, furono trovati altri corpi celesti dalle caratteristiche simili e tutti dislocati in una regione del sistema solare che si estende oltre l’orbita di Nettuno (e fino a 50 UA dal sole) e che nell’insieme costituisce quella conosciuta come Fascia di Kuiper (Gerard Kuiper, nel 1951, ipotizzò l’esistenza di questa fascia già all’epoca della formazione del sistema solare).
Di conseguenza anche per Plutone, per la sua similitudine con gli altri “pianetini” della Fascia di Kuiper, incominciò a profilarsi il declassamento.
Perché ciò accada bisogna aspettare il 2005, quando l’astronomo Mike Brown scoprì in quella zona del sistema solare un pianeta dalle dimensioni maggiori di Plutone: Eris.
A questo punto, dopo una risoluzione dell’assemblea generale dell’Unione Astronomica Internazionale (UAI) del 24 agosto 2006, Plutone venne riclassificato come “pianeta nano” insieme a Eris, Cerere, Haumea e Makemake.
In questa risoluzione vi erano delle linee guide per la differenziazione tra pianeti e pianeti nani.
Per cui un corpo celeste per essere definito come pianeta deve essere in regola con le seguenti definizioni:
– Deve orbitare intorno al sole
– Deve avere una massa sufficiente affinché la sua gravità possa vincere le forze di corpo rigido e gli permetta di assumere una forma quasi sferica
– E’ stato in grado di “liberare” la propria fascia orbitale da altri oggetti di dimensioni confrontabili.
Ed è per l’appunto a quest’ultima definizione che Plutone deve la sua retrocessione.
C’è, però, chi contesta questo fatto: Owen Gingerich, professore emerito di astronomia ad Harvard e astronomo emerito presso lo Smithsonian Astrophysical Observatory, afferma che il termine “pianeta” è culturalmente cambiato nel corso dei tempi e che, quindi, le definizioni stabilite dalla UAI sono, in un certo senso, “temerarie” per cui Plutone, insieme a tanti altri corpi celesti che via via vengono scoperti, anche al di fuori del nostro sistema solare, pur non avendo i” requisiti” stabiliti dalla UAI, possono avere il diritto di chiamarsi pianeti.
Cosa ne penserà mai Plutone di questa diatriba tutta terrestre?